Artista riservata e costante nella sua ricerca, Elena Molena espone a Palazzo Zuckermann gli esiti di un lavoro quasi ventennale, nutrito anche dall’attività didattica come docente presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, in cui si è formata nelle discipline pittoriche, per poi specializzarsi in Grafica d’arte.
La scuola è quella della tradizione calcografica contemporanea veneziana, prima con Mario Guadagnino e Giuseppe Fantinato, poi con Diana Ferrara nella specializzazione.
Molena partecipa all’attività dell’Associazione incisori veneti sotto la guida dell’indimenticato Giorgio Trentin.
Negli anni l’ispirazione si concentra sul paesaggio urbano, sull’abbandono delle archeologie industriali, dei gasometri e dei tralicci, in una perturbante assenza dell’uomo.
Guarda al grande cantore novecentesco della città, Mario Sironi, dalle cui vedute di periferie, ha colto uno stagnante senso di solitudine e un’illuminazione scossa da drammatici contrasti, e a Renzo Vespignani, alle scene delle sue borgate romane.
Ma le risonanze più dense stanno nelle prodigiose “Carceri” che Giovanni Battista Piranesi incise a metà del 1700: invenzioni di prospettive complesse e costruzioni ardite, fabbriche insieme surreali e barocche. In queste visioni Molena innesta resti moderni e infrastrutture della contemporaneità, con una sintesi e un segno di piena maturità che nei fogli cuciti a macchina nei “tappeti” si replicano potenzialmente all’infinito nel gioco brillante della serialità.